Bruciata bandiera israeliana anche in Piazza Maggiore durante una manifestazione “Pro Palestina”. Riflessione sull’antisionismo che spesso è antisemitismo (foto tratta da “la Repubblica).

Lo mascherano di antisionismo ma spesso, non sempre, è più semplicemente e tragicamente eterno antisemitismo, la madre storica, la radice ontologica, la natura filosofica di tutti i razzismi. Quello che sta alla base, per non girarci troppo attorno, della soluzione finale di stampo nazista. E così anche a Bologna, nel corso della manifestazione “pro Palestina” di domenica 22 ottobre in Piazza Maggiore, alla fine un gruppetto di islamici esaltati ha dato alle fiamme una bandiera, seppur formato mignon, di Israele. Ma è il gesto che conta e che parla assai di più delle dimensioni del vessillo bruciacchiato dall’accendino comprato nella tabaccheria sotto casa.

Basta fare un’operazione di certo autolesionistica da un punto di vista intellettuale ma necessaria da un punto di vista morale, ovvero quella di aggirarsi tra le pagine di molti sedicenti filopalestinesi per avere un quadro di negazionismo sfrenato del diritto di Israele ad avere un proprio Stato e di falsificazioni storiche dei fatti anche i più antichi. Da dove derivi questa radice di odio è difficile dirlo anche se gli atroci anni ’70, i più ideologizzati e beceri delle ultime generazioni, hanno dato il loro brutto contributo.

Nessuno tra costoro che gridano “Free free Palestine” viene sfiorato dal sospetto che nell’ultimo caso l’aggredito sia stato proprio Israele, colpito col massacro di inermi civili ai confini con la Striscia di Gaza, con scene che credevamo ascritte alla bestialità recente dell’Isis, ivi compreso sgozzamenti di neonati sui loro giacigli, stupri ed uccisioni di ragazze esibite a mo’ di trofeo e sequestri di centinaia di cui nessuno osa chiedere la liberazione incondizionata.

Totale silenzio sulla natura criminale, sanguinaria e integralista sia dei movimenti armati che fanno guerra ad israele (Hamas, che è il vero ed unico problema dei Palestinesi ed Hezbollah, il “Partito di Dio”) e del loro grande sponsor, il regime dittatoriale iraniano che costringe milioni di donne a vivere come nel Medio Evo e che le massacra di botte se non indossano il velo. I quattro islamici felsinei che hanno compiuto il gesto del rogo del vessillo di Israele, avessero davvero a cuore le sorti ultime della Palestina e dei Palestinesi, avrebbero dovuto sputare sulla bandiera di Hamas.

Qualcuno di costoro ha chiesto anche lo stop dei bombardamenti su Israele da Gaza, Yemen, Libano o condannato l’Iran e le sue marionette tagliagola? O riconosce anche il diritto dell’altro ad esistere? Solidarizzato coi familiari delle vittime di Hamas nella mattanza del 7 ottobre scorso? O fatto presente che negli ultimi giorni Israele ha fatto sfollare da Gaza circa 500 mila connazionali per i fatti recenti? Macché.

Poi c’è il solito Zaki, cittadino onorario di Bologna centrodestra permettendo (le opposizioni la cittadinanza onoraria gliela vorrebbero togliere dopo le dichiarazioni su questi episodi) che nel felpatissimo salotto buono di Fazio non coglie l’occasione dell’assist faziano e prosegue sulla sua linea, che è quella generico-pacifista pro Palestina senza alcun commento di pietà sui massacri di Hamas. Libero naturalmente di dire ciò che vuole e pure di candidarsi come certo farà, ma quale rappresentante dei diritti umani pone problemi sempre più irrisolvibili alla città di Bologna che lo esibisce in ogni salsa.

Gli stereotipi lavorano nel profondo e germinano in un contesto di ignoranza e post-ideologia: lagrimiamo fino all’esaurimento per “Schindler’s List” o “La vita è bella” poi facciamo finta di niente se in alcuni Paesi arabi trasmettono fiction ispirate ai “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” (quello a cui si riferisce Hitler nel “Mein Kampf”) o se Hamas a vieta la pubblicazione dei brani del “Diario di Anna Franck” per non diffondere l’infezione della campagna sionista”. Forse anche perché ricorda tremendamente l’orrore che ha raggiunto alcuni bimbi israeliani nel cuore di un kibbutz il 7 ottobre scorso.

Cara democrazia, abbiamo un piccolo problema di tenuta.