La volontà di riaffermare il proprio possesso 'virile' sulla donna, e una barbara necessità di vendicare il proprio onore. Usa queste parole la Corte d'Assise di Bologna per descrivere cosa spinse M'hamed Chamekh a uccidere la ex compagna Atika Gharib, assassinata e poi bruciata nel settembre 2019 in un casolare abbandonato a Castello d'Argile, nel Bolognese. Il 42enne marocchino è stato condannato all'ergastolo due mesi fa e oggi sono state rese note le motivazioni di quella sentenza, che sottolineano in modo netto il movente femminicida del delitto.
Un delitto premeditato -secondo quanto ricostruito- per punire la donna dopo la sua decisione di interrompere la relazione con un uomo violento, che aveva anche tentato di abusare della figlia minorenne di lei. Quel giorno Atika venne attirata nel casolare con la promessa di restituirle il passaporto che lui le aveva sottratto qualche tempo prima, quando lo aveva buttato fuori di casa e denunciato proprio per le molestie alla figlia sedicenne della donna. Dopo l'omicidio per soffocamento, ci fu il tentativo di sbarazzarsi del corpo dando alle fiamme l'intero casolare. Chamekh venne poi arrestato su un treno a Ventimiglia, mentre era in fuga per raggiungere il Marocco. Nelle motivazioni della condanna all'ergastolo, la Corte scrive inoltre che non c'è stato alcun pentimento; anzi l'omicidio è stato rivendicato con orgoglio e soddisfazione.
L'avvocata Marina Prosperi, che ha rappresentato l'intera famiglia della vittima, costituita parte civile, ha evidenziato che queste motivazioni (in cui si parla esplicitamente di "possesso virile sulla donna', e di un "malconcepito senso dell'onore) riconoscono come aggravante di genere il movente del femminicidio, determinato in una cornice maschilista e patriarcale.
“Nessuno potrà restituire Atika alle persone che le volevano bene -aveva detto il sindaco di Castello d’Argile Alessandro Erriquez all'indomani della condanna all'ergastolo dell'assassino- ma con questa sentenza ha ottenuto giustizia".