I comportamenti molesti ci sono stati e sono stati reiterati, così come ci sono state minacce anche implicite e verso persone legate alla vittima e si sono verificati gli eventi tipici del reato di stalking: l’aver ingenerato un perdurante stato di ansia e il timore per sé e per le persone vicine, oltre ad averla costretta a cambiare le abitudini di vita. Sono alcuni degli elementi affermati dalla Procura di Bologna che, con il pm Marco Imperato, ha impugnato davanti alla Corte di appello il proscioglimento arrivato il primo marzo per l’uomo accusato di stalking nei confronti di Marta Collot, portavoce nazionale di Potere al Popolo. L’imputato, Alberto Tagliati, è attualmente in carcere per lo stesso reato di atti persecutori a Collot: si tratta di un secondo fascicolo, successivo e nato da una seconda denuncia della giovane attivista politica, a distanza di due anni dalla prima. Il carcere per queste ultime condotte, iniziate proprio quando è stata fissata l’udienza del primo procedimento, è stato confermato anche dal tribunale Riesame, il 4 marzo. Tre giorni prima il Gup Letizio Magliaro ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste per il primo segmento di accuse e ora la Procura impugna, insistendo sull’abitualità dei comportamenti persecutori, “confermata dalla pluralità di condotte specificamente contestate” e sostenendo che “il giudice non ha adeguatamente considerato la valenza delle singole condotte nel contesto, anche alla luce del profilo di elevata pericolosità di Tagliati. Nei giorni scorsi Collot e Pap avevano fatto un presidio davanti al tribunale, per protestare contro il proscioglimento. In quell’occasione Collot aveva anche rivelato di essere stata vittima di uno stupro tre anni fa, nel parco di via Parri. Una vicenda diversa dal caso di stalking.